Detta anche tortura del fuoco, si praticava collocando l’imputato su un sedile in legno che presentava una griglia in ferro a far da appoggio per i piedi. La pratica consisteva nell’avvicinare le piante dei piedi nude del reo a carboni accesi sotto la griglia, con la temporanea interposizione di una tavola di legno che, in caso di rifiuto a confessare, veniva rimossa, lasciando i piedi esposti al fuoco ardente.

Era una pratica “di ripiego”. Il tormento della corda, comunemente impiegato, veniva per legge evitato a coloro che presentassero qualche “indisposizione naturale” che avrebbe potuto causare la morte durante la tortura. Imperfezioni naturali o accidentali, o malformazioni fisiche del corpo, erano così causa sufficiente a evitare la sospensione sulla corda in favore del non meno doloroso Carégon.

A causa dell’estrema sofferenza fisica, la tortura si rivelava però quasi sempre inutile, dato che il condannato, come si legge dai verbali, soffriva così atrocemente che non aveva né il tempo né la forza per confessare mentre era in balia del fuoco vivo. Quando invece la tavoletta era ricollocata tra i carboni accesi e i piedi, il reo non sentiva alcun dolore e rimaneva in silenzio.

Per questa ragione la pratica del Carégon cadde presto in disuso.

i ceppi strumenti di tortura palazzo delle prigioni
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