Tra le punizioni e le torture inflitte dal sistema giudiziario del ‘700 troviamo la fustigazione. Non solo a Venezia, ma ovunque le torture erano utilizzate come strumento di giustizia. Questo fino all’Illuminismo in cui si vide finalmente la loro progressiva messa al bando.
“La tortura giudiziaria, nel secolo XVIII, funziona in questa strana economia in cui il rituale che produce la verità va di pari passo col rituale che impone la punizione. Il corpo interrogato nel supplizio è il punto di applicazione del castigo e il luogo di estorsione della verità”.
Durante l’esecuzione della pena il corpo del condannato diventava un elemento simbolico cerimoniale del castigo pubblico.
“Il corpo costituisce l’elemento che attraverso tutto un gioco di rituali e di prove confessa che il crimine ha avuto luogo, afferma che lo ha commesso lui stesso (il condannato), mostra che egli lo porta inscritto in sé e su di sé, sopporta l’azione del castigo e manifesta, nella maniera più clamorosa, i suoi effetti”.
Dove veniva praticata la fustigazione?
La pena della fustigazione, veniva praticata sia nei luoghi pubblici, utilizzando una colonna o un palo al quale veniva assicurato il condannato, sia all’interno delle carceri, dove i detenuti erano incatenati ad anelli fissati alle pareti durante il supplizio.
Le conseguenze sui condannati
La fustigazione non causava mai la morte del condannato, ma procurava lesioni che, indirettamente, potevano causarla in conseguenza delle infezioni che si generavano per via della profondità delle ferite.
Come veniva praticata la fustigazione?
Questa tortura era generalmente eseguita con una frusta di corda intrecciata, che poteva essere modificata per aumentarne il potere offensivo, come nel caso del flagello, al quale si aggiungevano alla corda pezzi di metallo appuntiti. A volte questa veniva del tutto sostituita da una catena in ferro, che poteva presentare borchie o punte per perforare il corpo che andava a colpire.